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Salute & Ambiente: approccio One Health


Parlare di salute e di ambiente come un binomio inscindibile è oggi sempre più necessario
perché il nostro ecosistema è collegato in qualche modo ad ognuno di noi.
Questo prinicipio, linea con l’approccio “One health” o “Planetary health” suggerito nel
G20 dello scorso anno secondo i tre valori: “People, Planet, Prosperity”dove si evince
come il tenore di salute è direttamente proporzionale alla qualità della salute delle nostre
comunità, dove le persone vivono e dove le azioni per la salute dovrebbero andare oltre il
livello individuale.
Al congresso della Società Europea di Cardiologia (ESC) in corso a Barcellona –
29.08.2022 – è stato presentato uno studio firmato dal dottor Rocco Antonio Montone e
dal professor Filippo Crea, cardiologi di Fondazione Policlinico Universitario Agostino
Gemelli IRCCS- Università Cattolica, campus di Roma dimostra per la prima volta che
l’aria inquinata può causare l’infarto anche a chi ha coronarie ‘pulite’, cioè senza
aterosclerosi significativa (MINOCA, Myocardial Infarction with Non-Obstructive
Coronary Arteries), determinando uno spasmo prolungato dei vasi. Il rischio di incorrere
in un’ischemia da spasmo delle coronarie aumenta fino a 11 volte nei soggetti più
pesantemente esposti all’inquinamento da particolato fine (PM2.5), causato soprattutto dal
traffico veicolare.

L’inquinamento fa ammalare e uccide.
Non solo danneggiando i polmoni, ma anche il cuore e senza necessariamente passare per
le placche di aterosclerosi. A dimostrarlo sono i cardiologi della Fondazione Policlinico
Universitario Agostino Gemelli IRCCS – Università Cattolica, campus di Roma.
La ricerca, firmata dal dottor Rocco Antonio Montone e dal professor Filippo Crea
dimostra per la prima volta che è a rischio ‘infarto da aria inquinata’ anche chi ha le
coronarie (i vasi che nutrono il muscolo cardiaco) apparentemente sane, cioè senza placche
di aterosclerosi. Perché l’inquinamento, soprattutto quello da particolato fine (PM2.5) è in
grado di provocare uno spasmo delle coronarie che ’taglia’ il flusso di sangue al miocardio,
determinando un infarto, cioè la morte del muscolo cardiaco, da ‘strozzamento’ dei vasi.
“Abbiamo studiato il fenomeno – spiega il dottor Rocco Antonio Montone, Dirigente
medico presso la Unità Operativa Complessa di Terapia Intensiva Cardiologica della
Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS – su 287 pazienti di entrambi i sessi di età media 62
anni; il 56% di loro era affetto da ischemia miocardica cronica in presenza di coronarie
“sane” (i cosiddetti INOCA), mentre il 44% aveva addirittura avuto un infarto a coronarie
sane (MINOCA). La loro esposizione all’aria inquinata è stata determinata in base
all’indirizzo di domicilio. Tutti sono stati sottoposti a coronarografia, nel corso della quale
è stato effettuato un test ‘provocativo’ all’acetilcolina. Il test è risultato positivo (cioè
l’acetilcolina ha provocato uno spasmo delle coronarie) nel 61% dei pazienti; la positività
del test è risultata molto più frequente tra i soggetti esposti all’aria inquinata, in particolare
se anche fumatori e dislipidemici”.
“Questo studio dimostra per la prima volta – prosegue il dottor Montone – un’associazione
tra esposizione di lunga durata all’aria inquinata e comparsa di disturbi vasomotori delle
coronarie, suggerendo così un possibile ruolo dell’inquinamento sulla comparsa di infarti a
coronarie sane; in particolare, l’inquinamento da particolato fine (PM2.5) nel nostro studio
è risultato correlato allo spasmo delle grandi arterie coronariche”.
“Gli spasmi dei vasi del cuore – spiega il dottor Massimiliano Camilli, dottorando di ricerca
presso l’Istituto di Cardiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma –
potrebbero essere dovuti al fatto che l’esposizione di lunga durata all’aria inquinata
determina uno stato di infiammazione cronica dei vasi, con conseguente disfunzione
dell’endotelio (lo strato di rivestimento della parete interna dei vasi)”.

Le ricadute di questo studio. “Alla luce dei risultati di questo lavoro – conclude il professor
Filippo Crea, Ordinario di Malattie dell’apparato cardiovascolare all’Università Cattolica
del Sacro Cuore, campus di Roma e direttore dell’Unità Operativa Complessa di
Cardiologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – limitare
l’esposizione all’inquinamento ambientale (possibilmente riducendone le emissioni)
potrebbe ridurre il rischio residuo di futuri eventi cardiovascolari correlati alla cardiopatia
ischemica, sia su base aterosclerotica, che da spasmo delle coronarie. L’uso di purificatori
di aria in casa e l’utilizzo delle mascherine facciali quando ci si trova immersi nel traffico
delle grandi città potrebbe dunque già essere consigliato ai soggetti a rischio, in attesa di
studi che ne valutino il reale impatto sulla riduzione del rischio. E naturalmente ribadiamo
il divieto di fumo e la necessità di uno stretto controllo dei fattori di rischio per tutti, ma
ancora di più a chi è esposto all’inquinamento, come chi vive in una grande città”.
Che cos’è il test all’acetilcolina e quando viene effettuato
Nei pazienti con cardiopatia ischemica senza evidenza di ostruzione delle coronarie da
placche aterosclerotiche, nel corso della coronarografia può essere effettuato un test
provocativo con iniezione di acetilcolina per slatentizzare la tendenza allo spasmo. Questo
test è fondamentale per giungere a una diagnosi del meccanismo responsabile dell’infarto e
permette dunque di intraprendere una terapia mirata.
Cos’è l’inquinamento da particolato ‘fine’ (PM2.5) e ‘grossolano’ (PM10)
Per materiale particolato aerodisperso si intende l’insieme delle particelle atmosferiche
solide e liquide sospese in aria ambiente. Il PM2.5 (‘particolato fine’) indica le particelle di
diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 2,5 μm che derivano da tutti i tipi di
combustione (motori di automobili, impianti per la produzione di energia, combustione di
legna per il riscaldamento domestico, incendi boschivi e vari processi industriali). Le
particelle di dimensioni comprese tra 2,5 – 10 μm (tra le quali il PM10) sono dette
‘grossolane’ e derivano soprattutto da processi meccanici (macinazione, erosione,
fenomeni di attrito nei trasporti su strada quali usura dei freni, dei pneumatici e abrasione
delle strade). Il PM10 può avere anche un’origine naturale (l’erosione delle rocce, le eruzioni vulcaniche, incendi boschivi).